Il linguaggio inclusivo è un modo di comunicare che rispetta tutte le persone, che evita espressioni che possano risultare offensive, discriminatorie o escludenti. È una scelta di consapevolezza, le parole che usiamo ogni giorno costruiscono realtà, influenzano il modo in cui pensiamo e diamo valore agli altri.

Usare un linguaggio inclusivo vuol dire riconoscere la diversità come valore, non come eccezione. Non si tratta solo di sostituire alcune parole con altre “più corrette”, ma di cambiare prospettiva: passare da un linguaggio che definisce le persone per le loro condizioni a uno che le descrive nella loro interezza, rispettando identità, sensibilità e differenze.
Nella pratica, il linguaggio inclusivo invita a scegliere termini neutri, rispettosi e accurati. Per esempio, dire “persona con disabilità” invece di “disabile” sottolinea che la disabilità non è ciò che definisce l’individuo, ma solo una delle sue caratteristiche. Puoi approfondire il discorso leggendo questo approfondimento. Allo stesso modo, preferire “persona non udente” o “persona con sordità” invece di “sordo”, o “persona cieca” invece di “non vedente”, può cambiare completamente il tono del discorso.
Il linguaggio inclusivo non si applica solo alla disabilità, ma anche al genere, all’origine etnica, all’età, all’orientamento sessuale e a ogni ambito in cui le parole rischiano di creare distanza. È un linguaggio che accoglie, non divide.
Linguaggio inclusivo e disabilità: come cambia il modo di comunicare
La disabilità è uno degli ambiti in cui il linguaggio pesa di più. Per molto tempo, parole come “handicappato” o “invalido” sono state usate in modo comune, spesso senza intenzione offensiva, ma oggi risultano inadeguate perché mettono l’accento sul limite, non sulla persona.
Il linguaggio inclusivo propone un cambio di prospettiva, non si parla di “disabile” come etichetta, ma di persona con disabilità. L’attenzione si sposta dall’aspetto medico o fisico alla dignità e all’identità individuale.
Questo approccio è sostenuto anche dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006), che promuove il modello sociale della disabilità: non è la persona a essere “limitata”, ma è la società a dover rimuovere gli ostacoli che la escludono.
Un linguaggio rispettoso tiene conto di questo:
- evita diminutivi, espressioni pietistiche o paternalistiche (“poverino”, “costretto”, “malato”);
- usa termini neutri e precisi (“persona con disabilità motoria”, “persona con autismo”);
- non riduce la persona alla sua condizione (“un ragazzo in carrozzina” invece di “un disabile”).
Il linguaggio, in questo senso, diventa uno strumento di inclusione, non serve censurare le parole, ma imparare a sceglierle con consapevolezza, sapendo che ogni termine comunica un’immagine.
Frasi sulla disabilità: cosa non dire mai
Molte espressioni che sembrano innocue, in realtà, possono ferire o rinforzare stereotipi. Non serve cattiva intenzione: basta non rendersene conto. Ma il linguaggio inclusivo ci invita a fermarci un attimo prima di parlare e chiederci se ciò che stiamo dicendo riduce o valorizza la persona di fronte a noi.
Ecco alcune frasi da evitare:
- “Non sembri disabile”: implica che la disabilità debba avere un aspetto riconoscibile.
- “Sei un esempio per tutti”: può sembrare un complimento, ma trasforma la persona in un simbolo di ispirazione forzata.
- “Poverino”: trasmette pietà, non rispetto.
- “Nonostante tutto, sei felice”: suggerisce che la disabilità escluda automaticamente la felicità.
- “Ha qualcosa che non va”: sposta il focus sul difetto, non sulla persona.
Meglio invece frasi che esprimano normalità e rispetto, come:
- “Come posso aiutarti?”
- “Vuoi che ci spostiamo in un posto più comodo?”
- “Posso chiederti qualcosa sulla tua esperienza?”
Ricorda che le parole giuste aprono spazi di fiducia e contribuiscono a costruire una cultura più accogliente.
Parole da usare ed evitare
Evitare le parole passive e vittimistiche. Usare un linguaggio che rispetti le persone disabili come individui attivi con controllo sulla propria vita. Ecco un elenco delle parole da evitare e la loro terminologia corretta:
- Da evitare: Handicappato, disabile; da usare: persone disabili.
- Da evitare: afflitto da, soffre di, vittima di; da usare: ha (seguito dal tipo di disabilità).
- Da evitare: confinato su una sedia a rotelle, relegato su sedia a rotelle; da usare: utente su sedia a rotelle.
- Da evitare: handicappato mentale, mentalmente carente, ritardato, subnormale; da usare: con difficoltà di apprendimento.
- Da evitare: paralizzato, invalido; da usare: persona con disabilità o persona disabile.
- Da evitare: spastico o spastica; da usare: persona con paralisi cerebrale.
- Da evitare: malato di mente, pazzo; da usare: persona con una condizione di salute mentale.
- Da evitare: sordo e muto, sordomuto; da usare: sordo, persona con problemi di udito.
- Da evitare: cieco; da usare: persone con disabilità visive, persone cieche, persone non vedenti e ipovedenti.
- Da evitare: un epilettico, un diabetico, un depresso e così via; da usare: persona con epilessia, diabete, depressione o qualcuno con epilessia, diabete, depressione.
- Da evitare: nano; da usare: qualcuno con crescita limitata o bassa statura.
Le parole creano modelli e se impariamo a parlare in modo rispettoso, impariamo anche a pensare in modo più equo.



