ICF: cos’è, modello, domini e classificazione OMS sulla disabilità

Quando si parla di salute e disabilità, per decenni si è ragionato quasi solo in termini di diagnosi. Sei malato oppure no, sei “abile” o “disabile”, ma questa visione rigida non teneva conto delle differenze individuali né del contesto.

L’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute introdotta dall’OMS nel 2001, nasce proprio per cambiare rotta e modo di concepire e valutare la disabilità.

ICF disabili

Alla base dell’ICF c’è l’idea che non basta sapere quale patologia ha una persona, ma bisogna capire come vive realmente la sua condizione.

Due individui con lo stesso disturbo neurologico, ad esempio, possono avere vite completamente diverse. Uno lavora, ha relazioni attive, viaggia; l’altro fatica a uscire di casa. La differenza non sta solo nella malattia, ma nell’ambiente, negli strumenti a disposizione, nel supporto sociale e nelle capacità residue.

Ecco perché l’ICF è definito un modello bio-psico-sociale, che tiene insieme tre dimensioni: quella biologica (funzioni e strutture del corpo), quella psicologica (motivazioni, emozioni, capacità cognitive) e quella sociale (famiglia, scuola, lavoro, barriere architettoniche).

È un approccio più realistico e umano che non dice solo cosa non funziona, ma mostra anche cosa può funzionare se vengono rimossi ostacoli o introdotti facilitatori.

Immagina uno studente in sedia a rotelle, se la scuola ha scale senza ascensori, la sua partecipazione è fortemente limitata. Se invece ci sono rampe, insegnanti preparati e compagni collaborativi, quello stesso studente vive la scuola quasi come i suoi coetanei. Il corpo non è cambiato, ma l’ambiente sì ed è questa interazione che l’ICF vuole descrivere.

Per questo motivo l’ICF non è solo uno strumento tecnico, ma un linguaggio universale che mette al centro la persona e il suo funzionamento concreto, non la malattia scritta in cartella clinica.

Il modello ICF: struttura e logica di funzionamento

Il modello ICF non è un semplice elenco di voci, ma un sistema pensato per essere flessibile e adattabile a ogni persona. È diviso in due grandi aree:

  • la prima riguarda funzionamento e disabilità, con funzioni corporee, strutture del corpo, attività e partecipazione;
  • la seconda raccoglie i fattori contestuali, cioè ambiente e caratteristiche personali.

Funzioni e strutture corporee si riferiscono a come lavora il corpo. Le attività e la partecipazione raccontano invece cosa la persona fa nella vita di tutti i giorni, dal vestirsi al lavorare, dal comunicare al prendere parte ad attività sociali. È qui che la differenza tra “capacità” e “performance” diventa evidente, non è la stessa cosa poter teoricamente camminare e riuscire davvero a farlo in una città piena di barriere architettoniche.

I fattori ambientali e personali sono altrettanto centrali, perché una persona può avere una riduzione uditiva, ma se lavora in un ufficio dotato di strumenti di amplificazione o se vive in una società che garantisce accessibilità, il suo funzionamento cambia radicalmente.

Il codice ICF e il suo linguaggio universale

Ogni componente dell’ICF è identificato da un codice che inizia con una lettera: b (funzioni corporee), s (strutture), d (attività e partecipazione), e (fattori ambientali). Seguono numeri che specificano l’area. Ad esempio, d450 indica il camminare, b280 il dolore, e150 le barriere edilizie.

Questo linguaggio consente a medici, terapisti, insegnanti e ricercatori di comunicare senza ambiguità. Si tratta di un un sistema condiviso per fotografare in modo oggettivo il funzionamento delle persone, utile nei percorsi clinici ma anche in scuola e politiche sociali.

Classificazione ICF e domini fondamentali

La classificazione ICF è organizzata in domini, cioè grandi aree tematiche che descrivono la vita dell’individuo. Non serve a etichettare, ma a evidenziare risorse, difficoltà e contesti.

Ecco i domini principali:

  1. Funzioni corporee: capacità fisiologiche e psicologiche.
  2. Strutture corporee: organi e parti anatomiche.
  3. Attività e partecipazione: azioni quotidiane e ruoli sociali.
  4. Fattori ambientali: ostacoli o facilitatori esterni.
  5. Fattori personali: dati individuali come età, motivazione, background culturale.

Ognuno di questi domini interagisce con gli altri. Un problema visivo (funzione corporea) avrà un impatto diverso su un ragazzo che studia, su un adulto che guida per lavoro o su un pensionato che legge per diletto. L’ICF aiuta a riconoscere queste differenze e a evitare generalizzazioni.

ICF e disabilità: da etichetta a interazione

Uno dei punti di forza dell’ICF è il suo modo di descrivere la disabilità, che viene vista non come una caratteristica fissa della persona, ma come il risultato dell’interazione fra condizioni di salute e ambiente.

Una persona con paraplegia è limitata se vive in un contesto privo di accessibilità; se invece ha rampe, trasporti adattati e tecnologie di supporto, può avere un grado di autonomia molto elevato.

Questo cambio di prospettiva è stato adottato anche nelle scuole italiane, dove l’ICF è entrato nei PEI (Piani Educativi Individualizzati), diventando la base per costruire percorsi personalizzati, che valorizzano potenzialità e capacità residue invece di concentrarsi solo sulle difficoltà.

Il sistema ICF nella pratica quotidiana

In sanità, medici e fisioterapisti lo usano per definire programmi riabilitativi personalizzati. Non basta dire che un paziente ha avuto un ictus: serve capire se riesce a lavarsi, a cucinare, a comunicare con i familiari e il sistema ICF rende questo processo oggettivo e condivisibile.

Nella scuola, insegnanti e operatori lo utilizzano per costruire piani inclusivi che tengano conto di capacità e difficoltà reali. Lo stesso accade nei servizi sociali, dove l’ICF aiuta a pianificare interventi che non siano standardizzati ma cuciti su misura.

Tra gli altri vantaggi del sistema ICF ci sono:

  • Un linguaggio comune e riconosciuto a livello internazionale.
  • Interventi più personalizzati, dal piano sanitario a quello educativo.
  • Maggior chiarezza nella raccolta dati e nella ricerca.
  • Politiche pubbliche basate su informazioni reali e comparabili.

 

ICF e ICD: due classificazioni complementari

Spesso si confonde l’ICF con l’ICD, ma sono due strumenti diversi. L’ICD (International Classification of Diseases) elenca le diagnosi mediche, cioè dice cosa ha una persona. L’ICF, invece, descrive cosa quella persona può fare e in che misura partecipa alla vita quotidiana.

Le due classificazioni non si escludono, anzi, insieme danno un quadro completo della condizione.

Una paziente con artrite avrà un codice ICD che identifica la malattia, ma l’ICF spiegherà se riesce a vestirsi, a lavorare, a partecipare ad attività sociali. In questo modo, non ci fermiamo alla diagnosi, ma comprendiamo davvero l’impatto della condizione sulla sua vita.

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