Le persone con disabilità sono un gruppo di minoranza ma numeroso nel mondo e coprono tutti i generi, le etnie, le età ed il livello socioeconomico. Eppure, sfortunatamente, viviamo ancora in un mondo in cui le persone con disabilità sono semplicemente etichettate da una diagnosi medica, svalutando la loro identità sociale e riconducendole semplicemente alla definizione di “diverse da me”.
Utilizziamo termini come “donna cieca”, “studente autistico” o “vicino handicappato”, etichette che ignorano la persona che c’è dietro la disabilità. Questi termini che descrivono le persone con disabilità nelle conversazioni, per iscritto, sui social media e altrove sono influenti e possono dare forma a come il mondo percepisce questi problemi. Le etichette semplificate fanno sì che la società abbia una visione ristretta, esacerbando gli stereotipi e promuovendo atteggiamenti che rendono più difficile l’integrazione delle persone con disabilità nella società. Bisognerebbe incentivare il proposito di sensibilizzazione verso la disabilità per promuovere l’indipendenza, l’integrazione e l’inclusione di tutte queste persone.
Il concetto filosofico dovrebbe essere quello di mettere la persona prima della sua disabilità, in modo tale da iniziare a cambiare atteggiamento verso i problemi inerenti ad ogni condizione fisica specifica. Quindi, la disabilità dovrebbe diventare semplicemente un tratto secondario, non una caratteristica che definisce.
Per rivisitare gli esempi sopra citati, dovremmo invece dire “una donna che è cieca”, “uno studente con autismo” o “il mio vicino che utilizza una sedia a rotelle”. E’ il linguaggio giusto che le persone dovrebbero utilizzare, sottolineando così che siamo tutti uguali. Molte persone che soffrono di ipovisione vengono superficialmente definite “cieche”, ignorando che il loro stato non è solo limitante, ma crea un archetipo molto pericoloso. Queste errate percezioni potrebbero portare a minori opportunità di lavoro per loro e per le persone disabili in genere.
Un mito molto diffuso parla di difficoltà nel controllare i dipendenti con disabilità oppure che è costoso rendere accessibile per loro il posto di lavoro. A cancellarlo è un recente sondaggio, il quale ha evidenziato come l’82% dei dirigenti di alcune grandi aziende hanno dichiarato che le difficoltà di controllare i dipendenti disabili è sullo stesso piano di quelli senza disabilità. Altri studi hanno dimostrato che i dipendenti disabili si comportano allo stesso modo di quelli normali e non causano particolari problemi legati alla sicurezza.
Per molti, essere etichettati da una disabilità non è solo disumanizzante, ma anche una questione economica. Quando iniziamo a vedere l’intera persona e comprendiamo la loro esperienza unica, acquisiamo maggiore empatia e vediamo che un “candidato cieco al lavoro” può diventare “qualcuno che ha un’esperienza significativa nel campo” o che il tuo “vicino handicappato” è invece “un falegname di talento”.