La demenza è una delle complicanze più comuni del Parkinson, fino all’80% dei pazienti la sviluppa nel corso della malattia.
Di solito, tutti pensano subito al tremore delle mani, ai passi corti e alla rigidità, è l’immagine più diffusa, quella che viene in mente leggendo o guardando un documentario.
Eppure, il Parkinson non si limita a colpire il corpo, con il passare del tempo, la malattia arriva a coinvolgere anche la mente.
Molti pazienti raccontano che, dopo anni, diventa difficile seguire una conversazione, ricordare un impegno, orientarsi in una strada familiare. È il lato nascosto del Parkinson: la demenza, che cambia la vita quotidiana e mette alla prova le famiglie.
Molti studi scientifici dimostrano che non si tratta di un’eventualità rara, la maggior parte dei pazienti con Parkinson, nel lungo periodo, sviluppa un deterioramento cognitivo molto significativo.
Quanto è frequente la demenza nei pazienti con Parkinson?
Uno studio australiano ha seguito pazienti per vent’anni, quasi 8 su 10 hanno sviluppato demenza. In Svezia, una coorte osservata per 10 anni ha mostrato che circa la metà aveva un declino cognitivo marcato. Altri studi europei e americani confermano cifre simili.
L’età di esordio della malattia fa la differenza, chi riceve la diagnosi dopo i 65 anni ha molte più probabilità di sviluppare la demenza entro pochi anni. Così come anche la durata, dopo dieci anni di Parkinson, le probabilità iniziano a crescere rapidamente.
Cosa accade nel cervello?
La demenza da Parkinson nasce da processi che avvengono lentamente nel cervello. Il principale responsabile è una proteina, la α-sinucleina, che si accumula in aggregati chiamati corpi di Lewy. All’inizio si trovano nelle aree che controllano il movimento, motivo per cui i sintomi motori compaiono per primi. Col passare del tempo, però, questi depositi raggiungono la corteccia cerebrale, dove nascono i problemi di memoria, attenzione e pensiero.
Non è tutto. Molti pazienti presentano anche lesioni tipiche dell’Alzheimer, come le placche di beta-amiloide e i grovigli di tau. Una doppia patologia che rende il declino più rapido.
A questo si aggiunge la carenza di alcuni neurotrasmettitori, se la dopamina è legata ai sintomi motori, nella demenza da Parkinson a pesare è soprattutto il deficit di acetilcolina, sostanza indispensabile per la memoria e la concentrazione.
Chi rischia di più?
Alcuni pazienti convivono con il Parkinson per anni senza grossi problemi cognitivi, altri, invece, vanno incontro a un declino più rapido. Gli studi hanno individuato diversi fattori che aumentano il rischio:
- Età avanzata al momento della diagnosi.
- Malattia di lunga durata, oltre dieci anni.
- Quadro motorio dominato da rigidità e instabilità posturale, più che dal tremore.
- Comparsa precoce di disturbi cognitivi lievi.
- Presenza di allucinazioni visive e disturbi del sonno REM.
- Livello di istruzione più basso, che riduce la “riserva cognitiva”.
Non sono certezze, ma segnali utili per i medici, chi presenta più fattori di rischio merita un monitoraggio più stretto.
I sintomi della demenza da Parkinson
Sintomi cognitivi
La demenza da Parkinson non è uguale all’Alzheimer. I primi sintomi non riguardano tanto la memoria, ma la capacità di attenzione e di pianificazione.
Il paziente fatica a organizzare attività quotidiane, a portare a termine compiti che richiedono più passaggi, a mantenere la concentrazione. Spesso compaiono difficoltà visuo-spaziali: perdersi in un quartiere familiare, confondere i percorsi, avere problemi a copiare figure semplici.
La memoria episodica viene colpita più tardi e, nelle fasi iniziali, può migliorare se il paziente riceve suggerimenti o indizi.
Sintomi comportamentali
Accanto ai disturbi cognitivi, ci sono cambiamenti emotivi e percettivi. Le allucinazioni visive sono tra i più tipici: all’inizio brevi immagini, poi figure più definite e disturbanti.
Depressione, ansia e apatia sono frequenti e hanno una base biologica, non solo psicologica. Sono sintomi che peggiorano la qualità della vita e aumentano il peso sui caregiver.
Come viene fatta la diagnosi di demenza da Parkinson
Distinguere la PDD (demenza associata al morbo di Parkinson) da altre forme di demenza è importantissimo, la differenza più importante è con la demenza a corpi di Lewy (DLB). Se i sintomi cognitivi compaiono dopo almeno un anno dai disturbi motori, si parla di PDD. Se arrivano prima o nello stesso periodo, si tratta di DLB.
Per la diagnosi si usano test neuropsicologici specifici, come la PD-CFRS o il PANDA test, pensati proprio per valutare i pazienti con Parkinson.
Gli esami strumentali possono dare un aiuto in più: la SPECT dopaminergica mostra la perdita di neuroni tipica del Parkinson, la PET colinergica evidenzia i deficit corticali. I biomarcatori nel liquido cerebrospinale, oggi allo studio, potrebbero in futuro distinguere meglio la PDD dall’Alzheimer.
Le terapie di gestione della malattia
Non esiste ancora una cura capace di fermare la PDD, ma alcuni farmaci alleviano i sintomi. La rivastigmina è l’unico approvato specificamente per questa condizione e può migliorare attenzione e comportamento. Donepezil e galantamina hanno effetti meno consistenti.
Le allucinazioni possono essere trattate con antipsicotici atipici come quetiapina e clozapina, sempre con prudenza per evitare il peggioramento dei sintomi motori.
Oltre ai farmaci, la stimolazione cognitiva, l’attività fisica regolare e la riabilitazione occupazionale aiutano a mantenere autonomia più a lungo.
La PDD pesa enormemente sulle famiglie, senza supporto psicologico e organizzativo, il rischio di burnout è alto, per cui sono consigliati gruppi di sostegno, assistenza e formazione per rendere la gestione più sostenibile.
FAQ – Domande utili
Tutti i pazienti con Parkinson sviluppano demenza?
No, ma fino all’80% la sviluppa entro vent’anni dall’esordio della malattia.
La demenza da Parkinson è uguale all’Alzheimer?
No. Nella PDD i primi problemi riguardano attenzione e pianificazione, mentre nell’Alzheimer la memoria episodica è colpita per prima.
Quali farmaci vengono usati?
La rivastigmina è il principale. Donepezil e galantamina hanno efficacia più limitata.
Esistono strategie preventive?
Non del tutto, ma stimolazione cognitiva, attività fisica e gestione dei fattori di rischio vascolari possono rallentare il declino.
Quanto incide sui costi sociali?
Molto, i costi sanitari e familiari raddoppiano rispetto al Parkinson senza demenza.